La Fear of Missing Out è letteralmente la paura di perdere qualcosa. Può essere descritta come l’ansia o l’apprensione che altre persone stiano facendo qualcosa di interessante o importante in nostra assenza. È la paura di essere tagliati fuori da un incontro in cui i nostri amici si stanno divertendo, da un’opportunità di business di cui non siamo a conoscenza, ma che altri stanno sfruttando in questo momento, da una competenza lavorativa che sta facendo la differenza per altre persone nel nostro settore.
Il fenomeno è stato identificato per la prima volta nel 1996 e riportato in un articolo accademico (Herman & Dan, 2000) sul The Journal of Brand Management. Non veniva ancora chiamato FoMO ed era legato al mondo del marketing. Infatti, nell’articolo si parla di una tendenza, riscontrata in precedenti articoli scientifici, per cui il comportamento dei consumatori sembrava andare contro quello che si era sempre pensato, ovvero che i brand storici fossero preferiti a quelli nuovi. In questi studi, invece, veniva rilevata una maggiore predisposizione a scegliere nuovi brand, o nuovi prodotti dello stesso brand, proprio per contrastare la paura di perdere qualcosa di interessante rispetto alla scelta di qualcosa di già conosciuto.
Il termine è stato coniato nel 2004 da Patrick J. McGinnis in un articolo pubblicato sul magazine della Harvard business school. L’autore si riferiva principalmente alla paura di perdere qualcosa della vita sociale universitaria. Allora i social media erano ancora un fenomeno di nicchia. Nel 2007 il concetto venne ripreso in un articolo su Bussiness Week in cui veniva annunciata la nascita di una nuova epidemia tra gli studenti universitari americani tra i cui sintomi c’era la cronica inabilità a rifiutare inviti a feste, cene di qualsiasi tipo per la paura di perdere qualcosa.
Il fenomeno si è intensificato con l’uso dei social media che nascono e si diffondono con lo scopo di collegare le persone tra di loro ma rischiano di lasciarle con la sensazione di non essere connesse. Essere costantemente aggiornati è un mantra che amplifica la sensazione di perdere qualcosa se non controlliamo cosa stanno facendo i nostri amici o quello che sta avvenendo nel mondo. La tendenza a pubblicare maggiormente le esperienze positive della propria vita influisce negativamente sulla visione di quello che dobbiamo aspettarci dalla nostra vita. Se vediamo costantemente foto di amici, conoscenti o personaggi famosi che visitano posti paradisiaci, che mangiano nei migliori ristoranti, che hanno esperienze appaganti e divertenti, siamo portati a pensare che la nostra vita non sia soddisfacente. Ma sui social si tende a raccontare solo una versione della propria storia: quella più edulcorata.
Questo aspetto può essere traslato anche nell’ambito del mondo lavorativo legato al digitale dove ci sono continue novità, aggiornamenti, metodi di lavoro e si può avere la sensazione di non essere mai all’altezza, di essere sempre un passo indietro.
Il numero di opportunità alle quali siamo esposti è aumentato esponenzialmente con i social media e con la globalizzazione. Tutto è a portata di mano e potenzialmente a nostra disposizione. I nostri amici pubblicano una diretta Facebook da un posto esotico dall’altra parte del mondo? Possiamo organizzare lo stesso viaggio con pochi click. Stiamo studiando e diamo un’occhiata al gruppo WhatsApp: i nostri amici sono tutti insieme al bar e si stanno divertendo da matti mentre noi siamo ancora con la testa sui libri. Questi sono solo piccoli esempi di come i social media amplificano il fenomeno della FoMO.
È importante sottolineare che la FoMO esisteva anche prima dell’avvento delle tecnologie contemporanee. Patrick J. McGinnis (2021), l’ideatore del termine, sostiene che la FoMO sia una risposta biologica dell’essere umano e che in passato ci ha aiutato a sopravvivere:
Dal punto di vista neurobiologico, gli esseri umani sono cablati per questa sindrome. I nostri antenati, Homo habilis e Homo erectus, erano cacciatori-raccoglitori che vivevano in tribù ed erano acutamente consapevoli degli strumenti già disponibili e di quelli che ancora mancavano per campare un altro giorno. A quei tempi conveniva essere paranoici. Perdere l’occasione di procurarsi una fonte cruciale di cibo, acqua o riparo poteva significare la morte per voi e i vostri compagni ominidi. E in un ambiente ostile anche l’appartenenza al gruppo era questione di vita o di morte. Restando esclusi da un flusso vitale di informazioni o addirittura ostracizzati dal clan si rischiava la pelle. Il branco – l’inclusione nel gruppo – era essenziale per vincere la lotteria della sopravvivenza. Senza la FOMO, l’intera specie avrebbe rischiato di estinguersi!”
Patrick J. McGinnis
Nell’attuale contesto storico, questo istinto primordiale è degenerato ed è diventato una malattia propria delle società dell’abbondanza, un’abbondanza di opportunità di scelta, di possibilità, di informazioni e di stimoli.
Parallelamente alla diffusione dei social media, progettati per catturare la nostra attenzione sfruttando la psicologia umana, è aumentata quindi l’incidenza di questo disturbo, che ha raggiunto dimensioni globali.
Bisogna aspettare il 2013 perché il mondo accademico si interessi al fenomeno in maniera importante grazie agli studi di Andrew Przybylski, psicologo sperimentale e direttore della ricerca presso l’Oxford Internet Institute.
Come si può notare dalla Figura le ricerche del termine FoMO su Google sono rimaste molto basse dal 2004 al 2012 e sono iniziate a crescere a partire dal 2013 in concomitanza con le prime ricerche accademiche che hanno dato impulso alla diffusione del termine. È interessante notare due cose.
La prima e’ che c’e’ una tendenza nel grafico. I picchi di ricerca, con qualche eccezione, avvengono alla fine dell’anno tra i mesi di dicembre e gennaio. Sarebbe interessante indagare meglio questo aspetto e scoprire eventuali correlazioni con altre variabili.
La seconda e’ che la tendenza e’ sempre in crescita, il numero di ricerche aumenta progressivamente raggiungendo il picco ad Aprile 2023, mentre scrivo questo articolo. Questo è sicuramente indicativo di un interesse crescente e, probabilmente, anche di una diffusione sempre maggiore della FOMO.
Hai mai avuto la sensazione di perderti qualcosa? Come se tutti gli altri si stessero divertendo e vivendo la loro vita al meglio, mentre tu lavori soltanto oppure sei bloccato a casa a studiare, o guardare inutili video su YouTube, o scrollare per ore il feed di Instagram? Se sì, non sei solo. Milioni di persone sperimentano la FOMO.
La FOMO può avere un impatto significativo sulla tua vita. Può portare ansia, stress, depressione e solitudine. Può anche portare a un uso eccessivo dei social media, al controllo compulsivo delle email e dei messaggi di testo che, in un perverso meccanismo di retroazione, potrebbero far aumentare ancora di piu’ la tua FOMO!
Scopri il tuo livello di FOMO facendo il test validato scientificamente da Andrew Przybylski.
Articolo tratto dalla mia tesi di laurea sulla dipendenza da WhatApp.
Riferimenti bibliografici:
Herman, D. (2000). Introducing short-term brands: A new branding tool for a new consumer reality. Journal of Brand Management, 7(5), 330–340. https://doi.org/10.1057/bm.2000.23
Mcginnis, P. (2021). Fomo Sapiens. Impara a decidere senza farti travolgere da un mondo pieno di scelte possibili. BUR Biblioteca Univ. Rizzoli.
Przybylski, A. K., Murayama, K., DeHaan, C. R., & Gladwell, V. (2013). Motivational, emotional, and behavioral correlates of fear of missing out. Computers in Human Behavior, 29(4), 1841–1848. https://doi.org/10.1016/j.chb.2013.02.014
Elhai, J. D., Dvorak, R. D., Levine, J. C., & Hall, B. J. (2017). Problematic smartphone use: A conceptual overview and systematic review of relations with anxiety and depression psychopathology. Journal of Affective Disorders, 207, 251–259. https://doi.org/10.1016/j.jad.2016.08.030
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